Convegno delle Fondazioni Spadolini e Farefuturo/L’intervento del segretario del Pri Patriottismo repubblicano e realismo politico Intervento dell’on. Francesco Nucara al Convegno di studi organizzato dalle Fondazioni Farefuturo e Spadolini Nuova Antologia, "Patriottismo repubblicano e Unità nazionale", lunedì 21 giugno 2010, Palazzo Marini, Roma. di Francesco Nucara Desidero ringraziare le fondazioni Farefuturo e Spadolini Nuova Antologia per il tema che è stato scelto, "Patriottismo repubblicano e Unità nazionale". Non solo perché siamo alle celebrazioni del centocinquantenario dell’Unità d’Italia, ma perché il problema unitario è oggi al centro del dibattito politico ed evidentemente, centocinquant’anni dopo l’Unità d’Italia, il rischio di una dissoluzione della trama del Risorgimento esiste. E’ reale. La domanda che mi sono posto e che spesso i cittadini, provocatoriamente, mi pongono è questa: "Cosa ci fa il PRI in una Repubblica?". Senza andare lontano nel tempo basta leggere l’articolo di Galli della Loggia sul "Corriere della Sera" del 18 giugno 2010, che così termina a proposito della Lega e dell’Unità d’Italia: "Proprio il successo appena avuto, e che può forse preludere ad altri successi obbliga dunque la Lega, e sempre di più, che se ne renda conto o no, a scegliere o Pontida o Roma". Noi non abbiamo dubbi e dopo aver letto l’articolo del presidente Fini su "Formiche" sono certo che nemmeno lui ha dubbi. Vi devo dire però, se mi permettete dall’alto del patriottismo repubblicano, che i patrioti repubblicani sono coloro che più di tutti hanno voluto l’Unità d’Italia a costo di sacrificare il loro ideale politico. Mazzini ebbe un confronto dai toni aspri con Cattaneo ed altri illustri esponenti della tradizione repubblicana che ritenevano necessaria prima la Repubblica e poi l’Unità. Il patriottismo repubblicano si inscrive nel corso del realismo politico. E poi sa resistere alle prove più dure. Non dobbiamo certo turbarci perché si contestano l’inno nazionale e il tricolore. Anche se ciò che è "simbolo" di identità per una Nazione è un valore imprescindibile. Come diceva Giovanni Conti: "Non abbiamo simpatia per gli smargiassi, per i sentimentali, per i rivoluzionari verbali". Abbiamo avuto un partito in Italia che per quasi cinquant’anni preferiva l’Internazionale a Mameli, e copriva il tricolore con la sola bandiera rossa. Quel partito però non c’è più. Se la Lega avrà un domani non sarà perché ama il "Va’ pensiero" di Verdi, che è risorgimentale e unitario quanto l’Inno di Mameli. La parola patria in Italia era quasi in disuso, solo ora la si sta riscoprendo e i suoi eroi sono usciti dalle tombe. Non c’è settimana in cui un giornale nazionale non dedichi un articolo a Mazzini; nemmeno con Spadolini presidente del Consiglio si poteva tanto! Evidentemente Marx e i marxisti sono stati sconfitti dalla storia e Mazzini è risultato un "vincitore, benché vinto". Chi ha avuto più filo ha tessuto la sua tela. Per trovare un punto di riferimento ideale e culturale il paese dovrebbe tornare a volgere lo sguardo al nostro Risorgimento. Forse così si potrebbe capire che l’Unità dell’Italia quale è stata realizzata non era e non poteva essere quella per cui si era combattuto. In fondo, per capirlo, basti pensare che era rimasta aperta la questione romana . Ad un convegno di quest’anno mi sono permesso di contestare qualche studioso che reputava il processo costituente del secondo dopoguerra la realizzazione del compimento del sogno mazziniano. Non è così, perché all’interno di questo processo costituente erano presenti in maggioranza forze politiche, quelle cattoliche e comuniste, che vedevano Mazzini come fumo negli occhi. L’abbattimento degli steccati che dividono la Destra e la Sinistra è il filo conduttore che Spadolini segue nel suo itinerario intellettuale di politico, di storico e di giornalista. L’Italia, ha continuato a ripetere fino alla fine dei suoi giorni, non può permettersi il lusso di lacerarsi e dividersi in inutili guerre di religione tra opposti radicalismi e opposti estremismi. Diceva con Mario Pannunzio che il rifugio consolatorio nelle utopie è come una sorta di prenotazione nelle "trattorie dell’avvenire". La Repubblica possibile – diceva - è quella che nasce dal dialogo e dall’incontro delle grandi forze politiche, ma ad una condizione: che si resti fermi e ancorati a valori e principi indisponibili. La mediazione – ripeteva - non deve mai significare il venir meno all’intransigenza sulle cose che contano. Nel discorso pronunciato al Consiglio Nazionale del Partito Repubblicano nel settembre 1987, quando, Presidente del Senato, lasciò la carica di Segretario del Partito, sottolineò: "La capacità di mediazione, per un partito politico che si rispetti, non implica affatto cedevolezza, né arrendevolezza, né ricerca, sempre e comunque, del compromesso (…). Al contrario, bisogna rivendicare la mediazione come la più alta delle forme di iniziativa politica". E’ bene ricordare che alla Costituente ci fu una lunga discussione sulla formulazione dell’art.1, a proposito del quale il gruppo repubblicano, primo firmatario Ugo La Malfa, presentò un emendamento che così recitava: "L’Italia è una Repubblica democratica fondata sui diritti di libertà e sui diritti del lavoro". A noi pare che oggi non abbiamo né la libertà auspicata dall’emendamento La Malfa né tantomeno il lavoro. L’attuale Costituzione, come potremmo facilmente dimostrare, non è quella voluta dai costituenti repubblicani: ecco perché ancora oggi serve un Partito Repubblicano nella Repubblica attuale! Riformare la Costituzione è dunque impresa possibile e richiederlo è opportuno quando alcuni aspetti ne siano compromessi nell’uso corrente della Repubblica. Ad esempio, il nostro ordinamento costituzionale non prevede l’elezione diretta del premier, che pure è stata introdotta da entrambi i principali schieramenti politici del paese. C’è quindi concretamente un rischio di cesarismo per il paese, perché manca un adeguato contesto costituzionale alla figura del premier eletto direttamente dal popolo. Altresì la Costituzione repubblicana assegnava alla magistratura una funzione di ordinamento, mentre questa, dalle modifiche del ‘93 all’articolo ‘68, ha assunto prerogative tipiche di un potere. Pochi esempi per ricordare che l’Unità, anche su presupposti contraddittori, può essere esposta a rischio e che di un patriottismo repubblicano c’è ancora bisogno, come nel 1848. Dall’87 al ‘92 il panorama politico italiano ha subito sconvolgimenti che l’hanno fondamentalmente modificato. E Giovanni Spadolini, il laico di formazione crociana, sapeva che a nuovi dati occorreva dare nuove risposte, anche in base ad un’attenta analisi della realtà delle cose. Non gli sfuggiva l’importanza delle riforme istituzionali quando proponeva correttivi nel sistema; e a quelli che lui chiamava "movimentismi istituzionali" contrappose, con il noto decalogo, proposte di riordino della macchina pubblica in un quadro in cui i valori dello Stato devono essere concepiti, secondo l’espressione di Giovanni Amendola, come "la più alta intuizione del nostro spirito" ed essere preservati "non con l’immobilismo conservatore, ma attraverso scelte meditate con la funzionalità del sistema". Chiudo con una frase di Mazzini, che scrisse nel periodo in cui era esule in Svizzera: "La bandiera che sventola sul nostro capo è bandiera repubblicana: segnale per tutte le insurrezioni, fine di tutti gli sforzi degli uomini del progresso in Europa che muterebbe ben tosto la nostra guerra di difesa in guerra di principio". |